Su l’espansione dell’Unione Europea

Davide Aversa
5 min readJun 24, 2022

Con il voto del 23 Giugno 2022, Ucraina e Moldavia hanno ottenuto ufficialmente lo status di paese candidato all’ingresso nella Unione Europea. E anche la Georgia sembra indirizzata sullo stesso percorso. Questi tre pesi entrano quindi a far parte del gruppo dei paesi in coda insieme a Turchia (dal 1999, ma la cui applicazione è ormai da tempo congelata), Macedonia del Nord (dal 2005), Montenegro (2010), Serbia (2012), e Albania (2014).

È quindi indubbiò che l’insensata invasione Russa in Ucraina abbia avuto la conseguenza di smuovere le acque dell’allargamento dell’Unione Europea. Processo che, come spiegaquesto articolo di Politico del 2016, era dato per morto; o per lo meno sospeso a tempo indeterminato.

La ragione è facile da intuire. Da un lato abbiamo visto il ravvivarsi di un nazionalismo paneuropeo che vede nell’Europa Unita il mezzo per il compimento della missione di unificazioni dei popoli europei. Dall’altro abbiamo riscoperto l’importanza di fare parte di un gruppo grande abbastanza da potersi opporre al bullismo internazionale di paesi più forti o più aggressivi.

Tuttavia, con il rinnovato slancio di un Unione Europea che sembra di nuovo pronta ad accogliere i paesi vicini, è tornato più forte il dibattito fra chi è favorevole a un Europa in espansione e chi è contrario.

Ho quindi pensato di esplicitare in questo articolo alcuni degli argomenti a favore e contro per favorire un dibattito più consapevole (e aiutarmi a ragionare al riguardo).

Motivi per non espandersi

Il principale motivo per arrestare l’allargamento dell’UE è che già ora l’UE appare troppo grande. Il problema è puramente istituzionale. I meccanismi di funzionamento dell’UE, pensati per 15 o 16 membri, hanno cominciato a scricchiolare nel momento in cui le istituzioni UE sono state estese a oltre i 27 membri.

Ci sono vari motivi che aggravano l’incapacità di manovra di una UE in sovrappeso. Ad esempio, il meccanismo del veto degli stati nazionali diventa sempre più problematico all’aumentare di coloro che possono usufruirne. Oppure, la presenza di un parlamento europeo che non gode di tutti i poteri che dovrebbe avere per una vera espressione democratica degli abitanti dell’UE.

Ma ai problemi tecnici si aggiunge la sensazione che alcuni dei nuovi membri della UE siano stati ammessi un po’ troppo frettolosamente, sull’onda dell’entusiasmo, senza che tali paesi abbiano dato prova di avere solite basi democratiche alle spalle. La cosa non sarebbe un problema se non fosse che l’UE ha pochissimi mezzi coercitivi per evitare che un paese membro scivoli fuori dallo stato di diritto una volta ammesso. È il caso di Polonia e Ungheria, due paesi membri che si stanno avvitando in una regressione democratica senza che l’UE abbia molte soluzioni per impedirlo.

E cosa succede se l’UE incorpora elementi evidentemente ostili non solo al buonsenso ma all’integrità dell’Unione stessa? Non è chiaro e nessuno ha una chiara idea di come impedirlo.

Il punto principale è, quindi, che allo stato attuale l’Europa si trova spezzata in due dal dilemma su come proseguire nei prossimi decenni: continuare ad allargarsi oppure perseguire un’integrazione più profonda. È chiaro che, apparentemente, non possa perseguire entrambe. E in un mondo che richiede sempre più l’azione coordinata dei paesi europei per sopperire all’irrilevanza dei singoli stati nazionali, non possiamo permetterci di non perseguire una maggiore integrazione europea.

Motivi per crescere

C’è però un ma. Il motivo più forte per l’allargamento dell’Unione Europea è nella sua vocazione primordiale di entità sovranazionale in grado di garantire la libertà e la pace dei popoli europei. L’Unione Europea ha nel suo DNA ”l’obbligo morale” di accettare chiunque scelga liberamente di accettarne i valori e desideri partecipare alla difesa dell’interesse comune europeo.

Parlo di “obbligo morale” perché per i paesi ormai al confine dell’EU, fare parte o meno dell’EU ha enormi conseguenze pratiche sulla vita delle persone. Spesso è la differenza fra libertà civili e no, fra l’essere bullizzati da aggressivi vicini più grandi, o fra la speranza di pace e il timore della guerra.

Ma non è solo una questione morale, bensì pratica. Il grosso del soft power dell’UE trae origine proprio dalla sua capacità di attrarre i paesi confinanti. Dal suo essere qualcosa a cui aspirare. La sola presenza della UE ha spinto paesi limitrofi ad avvicinarsi a forme più aperte di società, offrendo più diritti ai loro abitanti e, in generale, vite migliori.

Ad esempio, l’estensione a est dell’UE è stata un errore, come dicono alcuni? Per dare una vera valutazione dovremmo tenere in considerazione anche il controfattuale di cosa sarebbe successo se non l’avessimo fatto. Forse (ed è un bel forse) l’UE in quanto tale sarebbe più integrata, ma cosa sarebbe successo ai paesi tenuti fuori? Se è vero che alcuni di questi paesi stanno scivolando in una fase di regressione democratica, viene spontaneo chiedersi cosa sarebbe accaduto se fossero fuori dall’UE. Forse sarebbero già dittature piene, forse avremmo perso ancora più paesi, forse alcuni di loro non ci avrebbero nemmeno provato ad avvicinarsi a qualche forma di diritti civili. Insomma, richiede valutazioni molto più sfaccettate.

Alla fine, però, il punto rimane. L’UE deve ambire, come si dice nel suo manifesto ideologico fondante, a essere la famiglia dei popoli liberi d’Europa. E come in tutte le famiglie, si litiga, si discute e si fa confusione, ma alla fine si finisce per dare più peso alle cose che ci uniscono.

Come ottenere i vantaggi di entrambi

E quindi? Come dicevo, non c’è una risposta. Ogni scelta comporta la perdita di qualcosa d’importante. Ogni scelta ha le sue conseguenze a lungo termine che non possono essere trascurate.

Esiste una terza via? Secondo me sì, ma come tutte le terze vie, è la più difficile. È la via che passa per una correzione dei trattati che permetta una più efficace coabitazione di un maggior numero di membri.

Le ipotesi sul tavolo sono tante, e vanno dall’abolizione del diritto di veto, o da quella che comunemente viene chiamata “Europa a due velocità”, ovvero regole più stringenti e più benefici per i paesi più integrati e poteri (e benefici) minori per i nuovi arrivati. Il problema è che sono due soluzioni che rischiano di creare più problemi di quanti ne risolvano.

L’abolizione del diritto di veto in un Europa ancora governata dalle nazioni rischia d’inacidire i rapporti con i paesi più deboli, che si vedrebbero (a torto o a ragione) bullizzati dai paesi più forti. L’Europa a due velocità, allo stesso modo, rischia di creare una specie di “cittadinanza di serie B” che finirebbe per frammentare il progetto europeo e disincentivare i paesi esterni a una integrazione maggiore.

Sono rischi, non certezze. Non ho ancora un’opinione definitiva sulla questione. Tuttavia penso che ci siano due strumenti più sicuri. Primo, rafforzare i poteri del parlamento per far sentire i popoli dei paesi più partecipi alle decisioni comunitarie e frenare l’eccessiva influenza degli stati nazionali sulle decisioni europee. Secondo, creare nuovi strumenti punitivi che permettano di ancorare un nuovo membro agli stessi criteri necessari per l’adesione.

Sarà sufficiente? Solo il tempo lo dirà. Ma le strade più difficili sono spesso quelle più belle da percorrere.

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Davide Aversa

Ph.D in Artificial Intelligence. Game Developer. AI Lover. Hardcore Gamer.